[VIDEO] 25-XI-2021: “Scienza, tecnica e democrazia, alla prova delle emergenze.”
Nell’ambito del ciclo di incontri Saperi speciali e diritti.
Conoscenze specialistiche, democrazia e governo, all’alba del terzo millennio sostenuto dal Ministero della Cultura,
la Fondazione Basso invita all’incontro
“Scienza, tecnica e democrazia, alla prova delle emergenze”
Partecipano:
Pierluigi Barrotta, ordinario di filosofia della scienza, cattedra “Galileo Galilei”, Università di Pisa
Roberta Calvano, ordinaria di diritto costituzionale, Sapienza Università di Roma
Pierluigi Contucci, ordinario di fisica matematica, Università di Bologna
Mario De Caro, ordinario di filosofia morale, Università Roma Tre
Coordina: Giovanni I. Giannoli, membro del Consiglio dei Garanti della Fondazione Basso
La distinzione tra “lavoro scientifico” e “lavoro politico” è costitutiva del mondo moderno: è legata all’affermazione della borghesia, al suo “saper fare”, al suo ingegno. Ma si tratta di una distinzione/relazione che si è andata complicando progressivamente, col consolidarsi della “società della conoscenza”, quando cioè la scienza e la tecnica hanno assunto un ruolo decisivo, nella produzione della ricchezza e nell’organizzazione della società.
Con l’articolarsi progressivo delle professioni e delle competenze, le responsabilità del decisore politico sono andate anch’esse crescendo, se si continua a riconoscere che l’ordinamento gerarchico dei valori, le finalità sociali degli interventi e le norme che devono governarli non ricadono (o non dovrebbero ricadere, per loro natura) nel dominio specifico della scienza, ma appartengono (o dovrebbero appartenere) al popolo sovrano.
Quando il merito dei problemi e la complessità delle decisioni presuppongono (a loro volta) competenze specialistiche, l’eventualità che il sovrano (cioè il popolo) si trovi nelle condizioni migliori, per esercitare quel potere che gli compete, diventa sempre più problematica: se la scelta richiede competenze elevate e non condivise, per la maggioranza dei cittadini (che non possiedono quelle competenze) i presupposti della scelta vengono meno.
Quando infine la dimensione dei problemi diventa globale, e i tempi della decisione si restringono, il rapporto tra “saperi speciali” e democrazia diventa estremamente critico, se non del tutto evanescente.
L’apologia della scienza e della tecnica, nella congiuntura attuale dell’Occidente, è ancora accompagnata – del resto – dalla sua ricorrente demonizzazione, che tende a presentare la tecnica come un sistema, per sua natura anti- (o a-) democratico, nichilista, inevitabilmente incline all’egemonia e al dominio. Tale – secondo alcuni – sarebbe l’esito dell’illuminismo e dei suoi discendenti, che hanno accompagnato lo sviluppo industriale degli ultimi secoli e sono pervenuti a una sorta di deificazione della razionalità strumentale e calcolante, la quale ha assunto le vesti di una teologia della tecnica.
Malgrado questo punto di vista sia probabilmente minoritario nell’establishment della cultura contemporanea, la sua presa di massa non va sottovalutata. Per altro, è senz’altro vero che l’uso della scienza – nel sistema sociale in cui siamo messi – è per molti versi funzionale a obiettivi di estrazione e di dominio, che espongono la scienza e la tecnica all’attribuzione di qualità negative, come fossero implicite in essa.
Questo è l’intreccio di problemi che ha motivato l’interesse della Fondazione Basso per il problema, anche alla luce di accadimenti particolari, che sono espressivi di una tendenza: per esempio, la designazione di un tecnico alla Presidenza del Consiglio, il fatto che l’implementazione del PNRR e la definizione delle misure anti-pandemiche siano stati affidati a specialisti, la pervasività degli algoritmi nella nostra vita ordinaria di tutti i giorni. Accadimenti, decisioni e processi che hanno specifiche ragioni e/o giustificazioni, ma che s’iscrivono – appunto – in una specifica tendenza. Che va di nuovo analizzata, da vari punti di vista.