Tavola rotonda “cultura, religione, diritti civili” Intervento di Franco Ippolito
AICI – Firenze 9 novembre 2019
Tavola rotonda “cultura, religione, diritti civili”
Intervento di Franco Ippolito
1. Il tema generale al centro di questa VI Conferenza dell’AICI è la politica culturale con particolare riferimento al quadrante mediterraneo, come prospettiva di un futuro possibile dell’attività degli istituti culturali. La nostra analisi deve tuttavia muovere dalla realtà di oggi, in cui il Mediterraneo è divenuto un luogo di contraddizioni: da crocevia e incrocio di cultura è stato trasformato in un immenso cimitero, in cui sono scomparsi decina di migliaia di persone con i loro sogni e le loro speranze. Una riflessione specificatamente dedicata a “cultura, religione, diritti civili” deve fare i conti con questa realtà drammatica, che investe molteplici dimensioni (individuale, pubblica, giuridica, politica…) ed è resa ancora più acuta da due fattori:
i movimenti migratori in atto nel mondo che, sia pure in misura molto ridotta, si indirizzano verso l’Europa: da questo continente, il più ricco del mondo, si levano forti preoccupazioni di pretesa invasione, temendo addirittura finalità di sostituzione etnica contro cui si invocano politiche di chiusura;
la crescente rilevanza della religione come elemento simbolico identitario, utilizzato da alcuni settori politici in maniera escludente e oppositiva, come componente della “costruzione del nemico”.
Si stanno intrecciando, in un lasso di tempo relativamente ristretto, popolazioni, religioni, culture diverse. In mancanza di adeguato governo del fenomeno, emergono e crescono manifestazioni di ostilità e di odio, e pratiche di violenza anche per motivi religiosi.
Nei secoli passati è stata l’Europa ad essere sconvolta dalle guerre di religione interne alla cristianità: noi europei sappiamo bene che la religione è stata – e ciò che è stato può essere ancora – fonte e causa di divisione, di discriminazione e di violenza contro chi la pensa diversamente.
Ci vollero la rivoluzione americana e quella francese per affermare i principi della libertà religiosa e della laicità dello Stato. Nella storia occidentale, la libertà religiosa è stata la prima tra le libertà civili riconosciute dal potere politico, il primo elemento di costruzione delle libertà e ha fatto crescere, insieme alla laicità dello Stato, la libertà di pensiero, la libertà di cultura, la stessa dignità umana.
Quello sviluppo di civiltà fu tragicamente interrotto dai totalitarismi della prima metà del ‘900, che determinarono una guerra spaventosa, con decine e decine di milioni di morti. Il peso di quei morti e l’orrore della Shoa spinsero a pronunciare quel mai più alla guerra e alla violazione dei diritti, affermato nello Statuto della Nazioni Unite, che pose limiti e vincoli alla sovranità assoluta degli Stati, riconoscendo la titolarità dei diritti fondamentali in capo ad ogni persona, indipendentemente dalla cittadinanza: in quel contesto la libertà religiosa fu riaffermata e giuridicamente tutelata dai più importati strumenti internazionali.
2. Quella libertà, come gli altri diritti umani universali, oggi è in difficoltà in molte parti del mondo. Si pensi alle tante stragi con motivazioni religiose di questi anni, ma anche alle predicazioni e ai messaggi di Chiese Evangeliche negli Usa e in Brasile, messaggi fondamentalisti, integralistici e aggressivi, intrisi di forte islamofobia, diffusa anche nella società europea.
Un politico come Paolo Gentiloni, per carattere poco propenso alla drammatizzazione, quando era ministro degli esteri, in un convegno svoltosi al Senato, manifestò tutto il suo “allarme sulla libertà religiosa sotto attacco”; e aggiunse: “Non ci può essere pace nel Mediterraneo senza coesistenza tra chiese, sinagoghe e moschee”.
Tra i più evidenti segni del regresso culturale va aggiunto la ripresa dell’antisemitismo, che riemerge in Europa. Man mano che ci allontaniamo cronologicamente dall’orrore dell’Olocausto emergono arretramenti culturali ed etici, la memoria si appanna, i valori si confondono, la vergogna tedesca e italiana del razzismo sembra sparire.
La perdita della memoria della Shoa sta assumendo dimensioni allarmanti se una persona mite come la senatrice Liliana Segre è oggetto di quotidiani intollerabili offese ed è costretta alla tutela e ad una sconsolata costatazione: “A me hanno insegnato che chi salva una vita salva il mondo intero… per questo, un mondo nel quale chi salva una vita anziché premiato viene punito, è un mondo alla rovescia”.
Il clima di intolleranza delle maggioranze verso le minoranze religiose è in aumento: contro gli ebrei, i musulmani, i cristiani. Abbiamo udito da alcuni governanti di paesi europei “Non accettiamo migranti che non siano cristiani”.
Il problema ci riguarda da vicino, tanto che un autorevole giudice costituzionale, Giuliano Amato, dichiara:“Oggi non possiamo dire che il fedele musulmano goda della stessa libertà religiosa di cui godono i fedeli di altre religioni”, aggiungendo che: “ostacolare la creazione delle moschee… viola un profilo fondamentale della libertà religiosa, che consiste appunto nell’avere i propri luoghi di culto, dove pregare e celebrare i propri riti”.
3. La ripresa di integralismi e fondamentalismi, che sfidano lo Stato laico,è stata al centro del preoccupato rapporto del 2018 del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla libertà di religione e di convinzione. Sugli stessi temi, la Fondazione Basso ha avviato, nei primi mesi del 2019, il ciclo di seminari “Fedi e libertà”, coinvolgendo decine e decine di esponenti delle diverse fedi, con l’intento di far emergere le ragioni e le radici dei fondamentalismi contemporanei, cercando di scavare nel terreno stesso delle convinzioni religiose e filosofiche. La prima parte del progetto ha mirato a individuare gli elementi di convergenza e quelli di disaccordo, su quattro assi specifici, particolarmente discriminati per la costituzione delle identità religiose e per la maturazione delle convinzioni filosofiche: appartenenza, la verità, i diritti e i poteri.
Si tratta di temi di grande rilevanza istituzionale e politica, per la tensione che esiste tra gli articoli 2, 3, 7, 8, 19 e 20 della nostra Costituzione e per le profonde trasformazioni che la cultura del nostro Paese ha conosciuto negli ultimi decenni, anche in seguito all’incremento dei processi migratori e alla diffusione di tradizioni diverse.
E’soprattutto l’aspetto politico e istituzionale del rapporto tra le convinzioni di ognuno e la libertà di tutti ciò che motiva e caratterizza la nostra ricerca, che ha un obiettivo, che non è soltanto quello di contrastare derive allarmanti, ma è volto a definire le forme giuridiche più adeguate affinché le libertà di ognuno e quelle di tutti – nell’esibire e nel praticare le proprie convinzioni – siano garantite nel modo più pieno.
Abbiamo sotto gli occhi il fallimento dei due principali modelli di inclusione elaborati e praticati dalle democrazie europee: il modello assimilazionista repubblicano, che assume la cittadinanza come connotazione neutra, che estromette i segni religiosi dalla sfera pubblica; e il modello multiculturalista, che configura invece le differenti religioni e culture come isole concluse, che non interagiscono fra loro.
Per non replicare il fallimento di questi due modelli – che, pur antitetici, determinano forme di accesa conflittualità sia in Francia sia nel Regno Unito – è necessario superare le tensioni tra universalismo e cittadinanza e mirare ad attenuare la divaricazione tra universalità dei diritti e particolarità delle cittadinanze. A tal fine è indispensabile elaborare e realizzare politiche di integrazione per società già di fatto multietniche e contrastare la ripresa del razzismo, alimentato innanzitutto dal declassamento degli altri, visti come non-titolari di diritti universali.
4. Nella crisi profonda che investe le nostre società e che ci pone la sfida di problemi imponenti e inediti, gli istituti di cultura non possono limitarsi alla manutenzione del patrimonio e dei valori ereditati, ma sono chiamate a svolgere un ruolo di iniziativa e di attiva propulsione per concorrere alla costruzione del futuro.
La vitalità e la capacità dei nostri istituti culturali saranno misurate sull’effettiva incidenza della loro azione sulla crisi che rischia di disgregare la società italiana ed europea e sulle capacità di risposta per riconnettere le tensioni culturali e identitarie a democrazie vitali, capaci di offrire soluzioni a bisogni individuali e collettivi.
La domanda che ci interpella direttamente è quella posta del rettore Luigi Dei: oggi l’Italia è cultura?, interrogativo poi allargato all’Unione europea dal presidente Hollande: oggi l’Europa è cultura?
Non possiamo nasconderci che le politiche dell’UE sembrano ignorare la Carta dei diritti fondamentali e che anche l’Italia appare dimentica della propria Costituzione e degli obblighi che alla Repubblica derivano in particolare dagli artt. 2 e 3. E’ una amara costatazione di fronte alla massiccia violazione di diritti fondamentali in danno di persone che vivono in condizioni di disuguaglianza e discriminazione o addirittura in condizioni inumane e degradanti nel campo di detenzione di Lesbo (cioè in Europa) e nei campi di concentramento turchi e libici, finanziati con risorse europee.
E’questa l’identità culturale dell’Italia e dell’Europa? Certamente anche la cultura è identità, ma l’identità è un valore positivo soltanto se è inclusiva, non quando esclude gli altri dai diritti che rivendichiamo per noi. L’identità sicura è quella capace di dialogo e di condivisione con gli altri; vivere l’altro come nemico è segno di incertezza e insicurezza della propria identità.
Una classe dirigente seria, deve rifiutare demagogia e populismi e deve assumersi il compito di far rinascere e rendere credibili nelle coscienze i valori di civiltà e di umanità racchiuse nelle impegnative promesse che accompagnarono e segnarono la fine del secondo conflitto mondiale.
E’ un impegno che riguarda anche gli istituti di cultura nella loro quotidiana attività. Dobbiamo ripartire dal basso, mostrando capacità di sapere e volere interloquire con tutti, ben sapendo di essere di fronte non solo a strumentali scelte politiche a fini elettorali. L’attacco ai diritti, in epoca di populismi, non viene soltanto da leaders autoritari, ma anche da sentimenti e risentimenti diffusi nelle società, lontane e dimentiche dalla barbarie delle leggi razziali europee e dall’orrore dell’Olocausto.
5. In questa situazione di difficoltà nazionale ed europea, gli istituti culturali, ovviamente ognuno nel suo campo specifico di azione, devono orientare la loro attività di spinta e di promozione verso alcune priorità, essenziali per contrastare il degrado di conoscenza, di competenza e di cultura che impoverisce la nostra democrazia e per rilanciare lo sviluppo dei diritti di tutti, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
La prima di tali priorità riguarda la conoscenza e la formazione. Non può più essere ritardato un investimento straordinario di cura privilegiata per la scuola, da anni cenerentola nell’assegnazione di risorse pubbliche e private. Solo una adeguata formazione culturale dei ragazzi e dei giovani (dalla scuola materna all’università e agli istituti di ricerca) può offrire la base per contrastare l’odio sociale e la xenofobia, per invertire il diffuso disprezzo per le competenze e per la scienza, per contribuire a formare una adeguata opinione pubblica, capace di dibattere democraticamente i problemi, ricercando ad essi soluzioni razionali.
E’ necessaria una nuova legge sulla cittadinanza, sia nazionale, sia europea. La cittadinanza, originariamente nata come strumento di uguaglianza e pari dignità di tutti, proprio perché scollegata da differenziazioni di ceti e di strati sociali, di sangue e di risorse patrimoniali, si è via via trasformata, sino a tingersi di nazionalismo e di valenza addirittura etnica, così divenendo un ostacolo al riconoscimento di diritti fondamentali e di strumenti di trattamento paritario persino agli immigrati di seconda e terza generazione, nati in Italia, dove vivono da decenni e dove hanno compiuto percorsi scolastici, culturali e professionali, operando e lavorando come componenti delle nostre comunità.
A oltre 70 anni dalla nascita della Repubblica e dall’approvazione della Costituzione democratica, va finalmente approvata una legge generale sulla libertà religiosa, che a tutt’oggi manca.
Una tale legge non soltanto consentirà una effettiva uguaglianza tra diversi credenti e diverse fedi, ma sarà uno strumento prezioso per il rispetto della dignità di ogni persona. Auspichiamo una libertà di religione e di fede non correlata all’identità dei diversi gruppi religiosi, i quale potrebbero non voler riconoscere la libertà della persona che del gruppo fa parte. Come è stato esattamente affermato, la libertà religiosa in uno stato costituzionale di diritto implica innanzitutto libertà di coscienza, di credenza e di opinione delle singole persone e, per quanto riguarda i diversi gruppi, richiede apertura, dialogo, confronto, condivisione dei valori di convivenza. Una libertà di tal genere concorrerà ad allargare il concetto di cittadinanza per ricomprendervi i diritti umani e l’eguaglianza tra diversi, quale che sia la loro origine e provenienza.
Il primo tema (formazione e conoscenza) coinvolge direttamente gli istituti culturali e la loro capacità di interloquire con le istituzioni scolastiche o con autonome iniziative di formazione. Gli altri due temi (nuova legge di cittadinanza e legge sulla libertà religiosa) competono alle forze politiche e al Parlamento. Tuttavia l’iniziativa politica e istituzionale non bastano. Occorre un’azione culturale per illustrare, far conoscere, contrastare le diffuse ostilità, le irrazionalità manifeste, le scorciatoie demagogiche e velleitarie.
E’ stato efficacemente detto che fare cultura implica modificare, se necessario, l’esistente, rompere i pregiudizi, modificare il senso comune deteriore.
E’ un impegno anche per noi e per gli istituti di cultura. Non possiamo venir meno al compito, che la Costituzione (art. 3 cpv.) assegna alla Repubblica, e perciò anche agli istituti di cultura che fanno capo all’AICI, di rimuovere gli ostacoli di fatto che limitano la libertà e l’uguaglianza di ciascuno e impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.