[Pensare la politica] “Politica, etica, autenticità” di Carlo Scognamiglio
Carlo Scognamiglio
Abstract
Sinistra e politica, sono termini quasi sovrapponibili. Se rivolgiamo il nostro sguardo alla storia d’Europa, le forze della sinistra progressista sono sempre state caratterizzate da un’istanza di allargamento dei diritti politici, e al tempo stesso di valorizzazione delle istanze stesse della partecipazione democratica sulle esigenze di controllo sociale pretese dalla struttura economica dominante. La sinistra è dunque sempre stata interprete di un diverso bilanciamento, nell’antagonismo tra amministrazione proprietaria e partecipazione democratica, a vantaggio di questa. Ciò non vuol dire che la sinistra abbia inteso esprimere posizioni antieconomiche o extraeconomiche. L’idea è invece quella di assoggettare i meccanismi amministrativi ai fini della politica, che è l’inverso delle opzioni conservatrici, le quali invece – tradizionalmente – ricorrono alla politica per garantire una perpetuazione del sistema di produzione dominante.
Nelle società a capitalismo avanzato, come ben segnalato da Marcuse, grazie allo sviluppo tecnologico, impiegato soprattutto nei settori produttivi, si è pressoché riusciti a soddisfare in gran parte i bisogni primari delle popolazioni (limitatamente ad alcune aree territoriali), ma a tal fine, per non interrompere il proprio flusso produttivo e non ricadere su sé stesso, il sistema è costretto a generare e indurre sempre nuovi bisogni, per poi amministrarli. Tale sistema, capace di questa fuoriuscita dai bisogni primari, porta con sé l’idea della sua stessa ineluttabilità. Non possiamo certamente negare che continuino a persistere ampie fasce di povertà nei paesi più sviluppati, e che tale organizzazione produttiva determini forme di ultra-impoverimento in altre aree del pianeta, e neanche che sussistano stratificate forme di oppressione e controllo sociale. Tuttavia, nelle società che hanno ormai raggiunto un sistema di organizzazione industriale, finanziario e amministrativo molto sviluppato, esiste in generale una garanzia sociale generalizzata di emersione da quella condizione di miseria cui ampie fasce della popolazione europea erano esposte nei secoli addietro, come correlazione naturale con condizioni climatiche, epidemie e carestie.
La politica, dunque, assimilando questo dato nella forma dell’ineluttabilità, si traduce in governance, amministrazione gestionale. Il riformismo non rinvia più – come concetto – all’idea di poter superare il sistema di oppressione capitalistico attraverso le istituzioni democratiche. Oggi il riformismo è l’idea stessa di amministrazione, finalizzata alla conservazione, dello sviluppo liberista, che in certe fasi è richiamato a correggere alcune sue storture. Ma il meccanismo implicito al capitale, e con esso il quadro assiologico che ne deriva, è tenuto vivo.
La difficoltà della gestione di questa fase, che dunque segna il processo con il carattere del declino, è a mio parere una resistenza a riconoscere la dimensione etica della pratica politica, che è implicita nella storia della sinistra, e che propongo di far riaffiorare. Anzi, di rivendicare con forza. Ma un’etica più vicina, che non anteponga l’obiettivo finale dello sviluppo alle implicazioni morali che agiscono in ogni negoziato imminente. L’obiettivo è invece quello di lasciar emergere il peso della dimensione assiologica nella stessa nozione di socialismo, onde valorizzarne la forza e la prospettiva di “eudemonismo sociale”. Va da sé che questo slittamento dal pragmatismo politico all’ideale etico-sociale significa, e così è stato nella storia del movimento operaio, il sacrificio della piena libertà economica individuale, indubbio elemento generatore di sudditanza e sfruttamento. Non c’è più spazio per nessuna sinistra se non si riprende a rimettere in discussione il rapporto tra diritti fondamentali e diritti patrimoniali.