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[Pensare la politica] “La lotta tra insicuri” di L. Monti

La lotta tra insicuri (premessa di Luciano Monti, docente di Politiche dell’Unione Europea LUISS)

 

In questi concitati giorni di scontri istituzionali (a livello europeo e interno al nostro paese) sulla gestione dei flussi migratori e sul soccorso in mare dei naufraghi, non è possibile ragionare solo “con la pancia” e orecchiando slogan e grida.

I cosiddetti “sovranisti” che si trovano uniti nell’affermare la priorità degli interessi nazionali perimetrati dai confini geografici, non si trovano poi d’accordo su una politica migratoria che presupponga un sia pur minimo concerto tra paesi appartenenti allo stesso continente. La verità è che emergono questioni non solo politiche, ma anche economiche, giuridiche e etiche. Non è possibile leggere il fenomeno migratorio in atto limitandosi a uno solo di questi aspetti.

Le questioni economiche mettono in rilievo due fattori entrambi sottovalutate nel contingente dibattito politico. Il primo fattore è quello demografico, che ci delinea un’Europa (e in particolare l’Italia) con una popolazione sempre più anziana a detrimento del tasso di occupazione e in ultima istanza (causa proporzionale alterazione del tasso di dipendenza) dell’equilibrio dei sistemi di Welfare. Il secondo è quello legato all’aumento dei divari tra i redditi die cittadini, che ha spinto molta della popolazione italiana, originariamente appartenente alla classe media, alla soglia di povertà. Tra questa, una fetta importante è costituita da nuclei familiari con capofamiglia under 35.

Entrambi i citati fattori economici generano tuttavia un fenomeno sociali rilevante: l’insicurezza sul proprio futuro. A sua volta l’insicurezza conduce ad atteggiamenti di arroccamento sulle proprie prerogative (per esempio la difesa a oltranza dei diritti acquisiti anche quando è palese la disparità di trattamento) e di intolleranza (la paura che “il nuovo arrivato” usurpi qualche opportunità).

Sono così convinto che la radice della soluzione al problema dei flussi migratori (da taluni economisti addirittura auspicati) non vada solo cercata nella loro regolamentazione, ma nella rapida attuazione di quel pilastro sociale europeo che i paesi membri hanno sancito l’anno scorso a Göteborg. Pilastro che ha proprio l’obiettivo di restituire quella sicurezza economica e sociale che oggi manca a molti dei cittadini europei: un pilastro che, alla stregua della politica migratoria, non può essere risolto su base nazionale, ma necessariamente su vasta scala. Politiche comuni, strumenti comuni e mutualizzazione di rischi e oneri sono alla base di queste politiche

Paradossalmente, la proposta della componente pentastellata del governo, incentrata sul reddito di cittadinanza, offrendo una soluzione strutturale al problema dell’insicurezza sociale, mina la base ideologica leghista, che su tale timore si basa.

Per affrontare gli aspetti giuridici e etici della gestione dei flussi migratori, propongo invece l’estratto del contributo dell’amico Pier Virgilio Dastoli, che prova a fare chiarezza, invitando tutti quantomeno a porsi le domande corrette e a darsi qualche risposta, non dimenticandosi che anche la citata componente economica va tenuta in debito conto.

 

È venuto il momento della disobbedienza civile (estratto) di Pier Virgilio Dastoli (Presidente Cime)

 

Le ripetute incursioni del Ministro degli Interni Matteo Salvini nella politica migratoria sollevano questioni essenziali non solo politiche e morali ma di diritto interno, europeo e internazionale. Le tre dimensioni sono strettamente collegate e non possono essere esaminate separatamente.

L’azione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo è regolata dalla Convenzione internazionale firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985 sulla base di un accordo internazionale elaborato dall’Organizzazione Marittima Internazionale volto a tutelare la navigazione con esplicito riferimento al soccorso marittimo e che resta a tutt’oggi la pietra miliare dei salvataggi in mare per la Guardia Costiera che è tenuta ad osservarla e per i governi nazionali che sono tenuti a farla osservare.

L’Italia ha dato applicazione alla Convenzione, dopo averla ratificata, con il Decreto Interministeriale dell’8 giugno 1989 con un’organizzazione territoriale al cui centro agisce il Comando Generale diretto attualmente dall’Ammiraglio Pettorino con funzioni di Centro Nazionale di Soccorso in Mare (IMRCC) che opera attraverso il numero 1530.

Il suo braccio operativo è rappresentato dalla Guardia Costiera che è l’organo competente per l’esercizio delle funzioni di ricerca e salvataggio in mare con criteri conformi al diritto internazionale. L’IMRCC oltre ad intervenire in caso di soccorso di mezzi e cittadini italiani è incaricato del soccorso a mezzi e persone straniere.

Un naufrago non è, secondo il diritto internazionale, un richiedente asilo o un immigrato illegale o – come si dice con una parola che ha assunto un suono dispregiativo – “clandestino” (i“clandestini” erano coloro che durante la Resistenza svolgevano attività antifasciste) ma una persona che deve essere soccorsa, salvata da rischio di annegamento e curata.

Nel momento in cui un naufrago entra nel territorio dell’Unione gli si applicano i diritti previsti dalla Carta dei Diritti Fondamentali che proteggono tutte le persone che stanno sul territorio europeo con alcune eccezioni limitate a diritti civili e politici.

La Guardia Costiera è composta in Italia da 12.000 fra ufficiali e sottoufficiali appartenenti a un corpo autonomo che dipende in primis (formazione, addestramento, aggiornamento, avanzamento delle carriere, corresponsione economica) dal Ministro della Difesa poiché si tratta di un corpo della Marina Militare.

La Guardia Costiera dipende funzionalmente dal Ministro delle infrastrutture e dei Trasporti che si avvale delle articolazioni centrali (Comando Centrale di Roma) e periferiche (Capitanerie di Porto) per la gestione tecnica e amministrativa di tutti gli aspetti correlati al comparto marittimo sia terrestre sia tecnico-nautico.Il Corpo si interfaccia inoltre con altri ministeri come l’Ambiente, le Politiche Agricole, i Beni Culturali e con gli Interni ma solo per quanto riguarda la sicurezza degli ambiti portuali.

Il Corpo è coordinato dal Comandante Generale normalmente che può provenire dalla Marina Militare o dallo stesso Corpo delle Capitanerie di Porto come l’attuale Ammiraglio Pettorino.

Il Comandante Generale deve agire dunque nel rispetto della Convenzione di Amburgo i cui principi e le cui regole operative prevalgono sulle leggi e sulle regole operative italiane. Egli deve agisce anche nel rispetto la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea perché, se non agisse, potrebbe essere denunciato per omissione o rifiuto d’atti d’ufficio.

In tutti questi anni e agendo nel rispetto della Convenzione di Amburgo e della Carta dei Diritti dell’Uomo, la Guardia Costiera Italiana ha salvato decine di migliaia di uomini, donne e bambini.

Per questa ragione pensiamo che essa dovrebbe essere candidata al Premio Nobel della Pace.

Il Comandante Generale risponde dei suoi atti al Ministro della Difesa e al Ministro per le Infrastrutture e i trasporti (nel caso del governo italiano a Toninelli) o dal Presidente del Consiglio con il placet di questi due ministri e non è tenuto a obbedire agli ordini del Ministro degli Interni che, se rivolti alla Guardia Costiera, si configurano come una violazione dell’atto normativo con cui il Presidente del Consiglio ha attribuito le deleghe ai membri del suo governo.

La disobbedienza agli ordini del Ministro degli Interni si configura come una forma tutta speciale di Civil Disobedience perché non si tratta di ribellarsi ad una legge ingiusta ma di ignorare un ordine tre volte illegittimo: esso contravviene alla Convenzione di Amburgo, alla Carta dei Diritti Fondamentali, alle deleghe attribuite dal Presidente del Consiglio ai suoi ministri.

Vale la pena di ricordare qui il saggio di Don Milani “L’obbedienza non è più una virtù” del 1965.

Lo stesso modello di Civil Disobedience si applica a tutti coloro che agiscono in mare

con funzioni di ricerca e di salvataggio: medici e infermieri, organizzazioni non governative, navi mercantili…. che dovrebbero ispirarsi all’insegnamento del radicale americano Howard Zin nella sua raccolta di saggi Disobbedienza e Democrazia la cui teoria era “è giusto disobbedire ad atti ingiusti”.

(Pier Virgilio Dastoli, Presidente del Consiglio Italiano del Movimento Europeo-CIME)

 

 

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