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“Lo stato costituzionale di diritto come patrimonio comune europeo” intervento di Franco Ippolito

AICI – ISTITUZIONI CULTURALI ITALIANE E PATRIMONIO CULTURALE EUROPEORavello, 8 – 10 novembre 2018

Lo stato costituzionale di diritto come patrimonio comune europeo

Intervento di Franco Ippolito

Presidente della Fondazione Basso

 

1. Il presidente Valdo Spini ha rivendicato con forza e con legittima soddisfazione il ruolo e il merito degli istituti culturali  aderenti all’AICI, sottolineando in particolare che gli “istituti più legati alla storia della cultura politica del nostro paese hanno di fatto impedito che, assieme ai partiti e le forze politiche che ad essi di ispiravano, venissero meno anche i riferimenti ai grandi filoni ideali e culturali, alle grandi personalità che fecero da fondamento alla nostra Repubblica democratica” (relazione Conferenza di Trieste del  2017).

L’Aici è l’Associazione degli istituti di cultura italiani, che hanno il compito precipuo di vivificare la memoria e la nostra ricca tradizione di cultura, e di cultura politica  in particolare, per trasmetterla ai giovani, soprattutto quando le istituzioni scolastiche pubbliche sono private della possibilità di coltivare la storia e la cultura civica, indispensabile per mantenere viva la memoria collettiva e per rafforzare la coesione sociale.

Preservare, aggiornare, innovare e vivificare il meglio delle culture politiche del secondo Novecento – che, nella stessa temperie storica e culturale, fondarono le Nazioni Unite e il nuovo paradigma di diritto internazionale incentrato sui diritti umani e sulla pari dignità delle persone e dei popoli, la Costituzione della Repubblica italiana e il sogno di una Europa di pace e di giustizia – è essenziale per offrire alle nuove generazioni la possibilità concreta di conoscerle per comprendere il presente e per costruire il futuro.

E’ un compito che non può essere limitato al nostro Paese, che non può avere alcun futuro fuori della dimensione internazionale ed europea. Donne e uomini coraggiosi e lungimiranti, avendo negli occhi, nella mente e nel cuore il disastro e l’orrore causato dai nazionalismi e dai sovranismi che “per due volte nel corso di una generazione avevano portato indicibili afflizioni all’umanità” (preambolo della Carta delle Nazioni Unite), si impegnarono nel progetto di una nuova Europa che poteva sembrare utopistico, ma che era invece fondato sulla necessità e sul realismo. Certo la realizzazione di quei progetti è stata faticosa e contraddittoria, nei fatti più funzionale agli interessi economici di pochi che alle speranze della stragrande maggioranza delle persone.

A distanza di 70 anni dalla Carta dell’ONU e della Costituzione della Repubblica e di 60 anni dall’avvio del processo per la costruzione di una Europa unita, ci ritroviamo con una esplosione delle disuguaglianze e delle discriminazioni che contraddice sia le premesse della Carta di San Francisco, sia le promesse di emancipazione civile e sociale consacrate nell’art. 3 della Costituzione italiana, sia il sogno europeo di Spinelli e del Manifesto di Ventotene.

E tuttavia le Nazioni Unite hanno consentito che una serie di diritti entrassero nel patrimonio inviolabile delle persone e dei popoli, la Repubblica italiana nei decenni ha cominciato a rendere effettivi molti dei diritti scritti nella Carta voluta dalla stragrande maggioranza dei costituenti, l’Unione Europea ha realizzato, per la prima volta nella storia, settanta anni di pace e di dialogo tra Paesi che si erano combattuti e massacrati per secoli.

Questo è il patrimonio culturale che dobbiamo porre a fondamento della costruzione del futuro.

E’ significativo che l’UNESCO, nel suo Rapporto sull’attuazione della Risoluzione 2347 (2017) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che per la prima volta aveva messo al centro della sua attenzione il patrimonio culturale, ha voluto sottolineare il legame tra protezione del patrimonio culturale e mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Il motto dell’Anno europeo del patrimonio culturale “Il nostro patrimonio: dove il passato incontra il futuro” è perciò anche per noi una direzione di lavoro e di impegno per valorizzare il patrimonio culturale europeo e l’importanza del suo ruolo per costruire il futuro dell’Europa e rafforzare il senso di appartenenza a un comune spazio europeo.

E’ un compito difficile in epoca di crisi dell’Europa, che sembra smarrire il progetto originario, proprio mentre riemergono le suggestioni, fuorvianti e illusorie, di nazionalismi e sovranismi.

 

2. Qual è il patrimonio culturale europeo, qual è l’eredità culturale che vogliamo trasmettere ai giovani per costruire il futuro? Non basta rispondere il patrimonio in tutte le sue forme (tangibile e intangibile, naturale e digitale) della storia europea. Quale storia? Quale Europa?

La storia europea è fatta di tolleranza e di Inquisizione; di Illuminismo e di guerre di religione; di dichiarazione dei diritti dell’uomo e di ghigliottina; di liberalismo e di Sillabo; di democrazia e di nazifascismo; di diritti inalienabili e di Auschwitz; di libertà, uguaglianza e fraternità e di leggi razziali.

Qual è il patrimonio culturale europeo da lasciare in eredità? Quale la risorsa condivisa, il bene comune da custodire e trasmettere alle generazioni future?

Non si tratta di sceglierne una parte, rimuovendo l’altra, quella negativa, come se non fosse anch’essa parte della storia d’Europa. Come ci diceva a Trieste Silvio Pons, occorre invece “coltivare la memoria storica capace di includere gli orrori prodotti dal nazionalismo europeo”, ovviamente qualificandoli come tali e rivendicando le dure battaglie combattute per la loro sconfitta.

La storia negativa non è cancellata né archiviata, tanto che costituisce alimento per nazionalismi e sovranismi di chi (come Orban in Ungheria o Kaczyński in Polonia) teorizza e pratica la cd. democrazia illiberale, apprezzata anche da qualche politico italiano.

Abbiamo il dovere, come donne e uomini di cultura, pur di diverso orientamento per quanto riguarda i contingenti indirizzi politici, di convergere sui valori di fondo e di assumere posizioni nette e univoche, tanto più che oggi riprendono fiato e consenso filoni politici che si richiamano alla parte buia dell’Europa, a cominciare dalle tendenze xenofobe e razziste, nonché dai silenzi e dalle indifferenze, che non sono atteggiamenti neutri, ma costituiscono l’humus per il rafforzamento di sentimenti di ostilità e di rifiuto dell’altro.

Deve scuoterci tutti la frase pronunciata da Liliana Segre in una recente intervista: “Oggi come nel 1938 mi fa paura l’indifferenza! L’indifferenza è stata colpevole allora perché non ci si può difendere da chi volta la faccia dall’altra parte, si cerca di difendersi da chi è violento, ma non da chi fa finta di non vederti e di non vedere. Ed è lo stesso pericolo che c’è anche oggi”.

Molto opportunamente Michael Musetti, nell’introduzione al volume che raccoglie gli atti della Conferenza dell’Aici dello scorso anno, ha avvertito che “In un momento in cui populismo e movimenti nazionalistici stanno prendendo il sopravvento e i trattati europei, le identità politiche e sociali sono poste sotto attacco da più fronti è necessario che tutti prendano una posizione”.

In questi giorni ho riletto Politica e cultura di Norberto Bobbio, un testo pubblicato nel 1955, che dovrebbe costituire un manuale per ogni intellettuale democratico.

Bobbio teorizzava e praticava, come dovere morale e politico dell’uomo di cultura, tanto più in epoca di crisi e di confusione, l’impegno a schierarsi e ad esercitare lo spirito critico contro il dogmatismo, soprattutto quando è utilizzato dal potere politico, e contro la pseudocultura degli improvvisatori, dei dilettanti, dei propagandisti interessati, ricordandoci che “il silenzio è il custode della nostra sonnolenza spirituale”.

“Anche l’impegno per la verità – scriveva Bobbio – può diventare nei momenti di crisi un impegno politico”, di fronte alle offese alla verità che “consistono nella falsificazione dei fatti o nelle storture dei ragionamenti. Ne abbiamo sotto gli occhi quotidianamente troppi casi perché valga la pena di esemplificare”. Era una annotazione degli anni ‘50, ma quanto risulta attuale sol che si pensi, per esempio, ai dati reali sulle migrazioni, diffuse nei giorni scorsi dal Rapporto Caritas e Migrantes, messi a confronto con la propaganda e le strumentalizzazioni di chi alimenta e poi utilizza a fini di consenso elettorale percezioni infondate, incertezze e paure.

Prendere la parola, prendere posizione è dunque essenziale, se vogliamo essere portatori di cultura con il compito di elevare il dibattito culturale e trasmetterlo ai giovani. Come sottolinea Spini, “la cultura è battaglia di condivisione e di inclusione”. Una battaglia che negli anni ‘60 aveva come interlocutori e destinatari gli immigrati interni, i meridionali che emigravano verso il triangolo industriale; oggi ha i nuovi arrivati, i migranti che fuggono da situazioni di invivibilità per guerre e devastazioni ambientali a cui non siamo certamente estranei noi occidentali e noi europei.

3.  Su questa base possiamo e dobbiamo valorizzare il patrimonio culturale europeo, costruito progressivamente sui valori di libertà, uguaglianza, diritti fondamentali, doveri di solidarietà.

Chi rappresenta una Fondazione di cultura politica deve ricordare che patrimonio culturale europeo intangibile, nel doppio senso che non si tocca perché non è un bene materiale e che non si può manomettere, è la democrazia costituzionale, fatta certamente di elezioni e di consensi popolari, ma anche – a partire dall’art. 16 della Costituzione francese del 1791 – di separazioni di poteri e di garanzia dei diritti fondamentali per tutti, indipendentemente dalla cittadinanza nazionale.

Si tratta di componenti essenziali dello stato costituzionale di diritto, che è una conquista della civiltà europea anche per le generazioni future e che non possiamo né incrinare né tanto meno dissipare. Esso costituisce già il patrimonio costituzionale comune europeo, sia della piccola Europa (i 27 paesi dell’Unione europea) sia della grande Europa (i 47 paesi aderenti al Consiglio d’Europa).

E’ anche questa l’eredità comune dell’Europa che dobbiamo valorizzare e trasmettere alle nuove generazioni, secondo la formulazione dell’art. 3 della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore dell’eredità culturale per la società. Essa consiste in:

a)    tutte le forme di forme di eredità culturale che costituiscono, nel loro insieme, una fonte condivisa di ricordo, comprensione, identità, coesione e creatività;

b)   gli ideali, i principi e i valori, derivanti dall’esperienza ottenuta grazie al progresso e facendo tesoro dei conflitti passati, che promuovono lo sviluppo di una società pacifica e stabile, fondata sul rispetto per i diritti umani, la democrazia e lo Stato di diritto.

Questa Convenzione (FARO, 27.X.2005), che ha posto una pietra miliare in materia di patrimonio culturale, è stata da tempo sottoscritta, ma non ancora ratificata dall’Italia. In proposito, propongo che questa nostra Conferenza approvi una risoluzione per la rapida approvazione parlamentare della Convenzione.

Il prezioso patrimonio culturale, che identifica il meglio dell’Europa, non è quello dei mercati e tantomeno quello dei mercanti, ma quello della democrazia, della separazione dei poteri, della garanzia per i diritti fondamentali di ogni persona, indipendentemente dalla cittadinanza. Non si tratta soltanto di un auspicio, di un ottativo. E’ già un patrimonio comune che costituisce la base della giurisprudenza europea, sia della Corte di giustizia di Lussemburgo, sia della Corte europea dei diritto dell’uomo di Strasburgo. Quella che ha recentemente affermato che la Polonia viola l’indipendenza della magistratura e compromette lo stato di diritto, quella che ha condannato l’Italia per la lentezza della giustizia¸ per complicità nel rapimento di persone sequestrate e condotte in Egitto dove è stata praticata la tortura, quella che ha ripetutamente condannato il nostro Paese per espulsioni o il respingimento di immigrati non sicuri sotto il profilo del rispetto dei diritti umani.

Insisto nel sottolineare che non si tratta solo di un progetto, ma di un patrimonio già esistente da salvaguardare, da custodire e da sviluppare. In questo senso, proprio in quanto convinti europeisti, dobbiamo ripensare il progetto europeo, per realizzare una Europa più vicina alle persone, più democratica, più inclusiva, più sociale.

Per modificare le tendenze scettiche verso l’Europa, determinate da politiche liberiste che hanno compromesso e sacrificato le parti più vulnerabili della società e la grande maggioranza dei ceti medi, è necessario pensare a un’altra Europa, che riprenda il progetto originario e soprattutto valorizzi non gli interessi della finanza, bensì la prospettiva di costruire davvero uno spazio di diritto, giustizia e sicurezza, che non è soltanto ordine pubblico nelle strade e decoro dei palazzi della città, ma anche e soprattutto possibilità, per anziani e per giovani,  di guardare al futuro con speranza e fiducia nella solidarietà della comunità politicamente organizzata.

In questa direzione, istituti culturali collegati in rete, che aprono i loro archivi e le loro dotazioni, possono avere uno ruolo rilevante di informazione e di formazione storica, soprattutto nei confronti dei giovani, verso i quali le tradizionali agenzie educative e di formazione (scuola e famiglia) fanno fatica a tenere il passo. Un più efficace coordinamento, sollecitato e sostenuto dall’Aici, tra gli istituti di cultura, a cominciare da quelli di cultura politica, può costituire un contributo davvero significativo. Noi della Fondazione Basso siamo pronti a lavorare in questa direzione e non soltanto per gli archivi del Novecento, ma per tutti gli imponenti archivi e materiali raccolti da Lelio Basso, e successivamente incrementati, con riferimento ai diritti universali delle persone e dei popoli, a partire dalla Rivoluzione francese.

Ravello, 9 novembre 2018

Franco Ippolito

Presidente della Fondazione Basso



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